IN LIFE: ULTRAUFFICIxULTRACORPI #10


La rubrica “IN LIFE” è curata dal network di professionisti → Digital Guys, fondato da Fabrizio Bellavista, Antonio Cirella, Stefano Lazzari, Danilo Premoli, ognuno con conoscenze abilitanti alla trasformazione digitale.
Il format di “IN LIFE” prevede la pubblicazione di un articolo ogni 15 giorni su Office Observer. Il martedì della settimana successiva viene fatta una diretta di approfondimento, in cui si potranno fare domande agli autori.

Avatar
 
C’è un’eco antica in questa parola, che la più parte di noi ha imparato a conoscere da poco. Inutile addentrarci troppo nel passato e “lasciamo inoperosi gli ascensori che menano alle fonti”, ci consiglia Alberto Savinio (se ben ricordo nel suo libro “Ascolto il tuo cuore, città”). Limitiamoci a definire cosa sia un Avatar, riprendendo le parole di → Wikipedia: “L’Avatar è un’immagine scelta per rappresentare la propria utenza in comunità virtuali, luoghi di aggregazione e di discussione, o di gioco online”. Questa definizione fa quello che deve fare, definire, ma non spiega assolutamente nulla di ciò che interessa a noi, e cioè che cos’è un Avatar per me? E viceversa chi sono io per lui? e infine, chi è il mio Avatar per gli altri? Chiaramente, almeno per noi, l’Avatar ha senso solo nel momento in cui soddisfa alcuni requisiti. Il primo è che ci si possa riconoscere, aspetto fondamentale per identificarsi e accettarlo come nostro rappresentante. Il secondo è che il nostro doppio interagisca con altri Avatar in un ambiente sociale in cui riconosciamo a nostra volta, la presenza di altre persone, la loro umanità, la loro identità.  

Noi siamo molte cose, siamo molteplici, e lo siamo da sempre. “Uno nessuno e centomila” ci ricorda Pirandello, e Gustave Flaubert afferma “Madame Bovary c’est moi” rivendicando la possibilità di un autore di essere e di esprimere una personalità diversa da sé. A mia volta affermo: “Io sono i miei dispositivi”. Lo dico un po’ come un fotografo lo dice della sua macchina fotografica, uno skipper della sua barca e via così: c’è un legame tra strumento di lavoro, luogo di lavoro e sé, potremmo dire la stessa cosa per l’officina, lo studio, la fabbrica. I luoghi di lavoro non ci sono indifferenti, e la tecnologia porta con sé questo aspetto identitario. È una forma di ibridazione conseguente alla nostra sempre più stretta relazione fra corpo, identità e tecnologia.  

Questo processo, volenti o nolenti, ci accompagnerà nel nostro prossimo futuro, da oggi in avanti è in effetti iniziato, molto, molto tempo fa (omissis, abbiamo detto), ed è solo in tempi recentissimi che grazie alla pervasività della tecnologia è diventato un processo prima culturalmente ammissibile, poi industrialmente replicabile sino a diventare parte integrante e fondamentale della cultura occidentale, ma oggi mi sento di dire, patrimonio dell’intera Umanità.  

Già Internet ha creato un paesaggio nuovo nel quale ci siamo immersi e ci abbiamo messo un po’ a trovarlo nostro. Ora è un ambiente acquisito, quasi una nostra seconda natura. I social poi hanno amplificato ancora di più, nel bene e nel male, la costruzione di un patto identitario fra tecnologia e persona ed ora ci stiamo incamminando in quelle che chiamo “tecnologie dell’identità”. Zoom, Twich, mondi virtuali sono ambienti sempre più personalizzati in cui andiamo a vivere, vivere esperienze, vivere lavoro. Ora è il tempo della nostra rappresentazione fisica, del nostro doppio digitale, la cui adozione sta modificando, esattamente come fece il Web anni fa, la nostra percezione della realtà e della nostra umanità.  

Pe diventare Avatar è necessario un mix di esperienza e di sensibilità. In inglese, Humankind è l’appartenenza all’umanità. Avakind è l’appartenenza alla condizione di Avatar. Ma cosa avvicina l’uno e l’altro? Qual è l’abilità che ci facilita questo passaggio? Io la chiamo Avakindness: attitudine che si acquisisce nell’essere Avatar. Questa non avviene quasi mai velocemente, è un percorso che si vive con il tempo. Arrivare a svilupparla può essere faticoso. Può non giungere a compimento pienamente. Per partire preparati è bene avere tra gli strumenti della propria sacca da viaggio una buona quantità di immaginazione e sensibilità umana. Sembra poco, ma aiuta tantissimo ad accettare in sé il proprio Avatar.  

Ecco gli attrezzi che più mi sono servirti nei miei viaggi oltre lo schermo. Ve li lascio.  

Sguardo sentimentale
Quali sono i sensi di un Avatar? Quali sensazioni ci rimanda l’immaterialità di un corpo che è pura rappresentazione? Me lo sono chiesto sin dai tempi in cui mi aggiravo come Avatar nella prima giovinezza di Second Life. I sensi del mio corpo mi mancavano. Camminavo, ma non percepivo la terra sotto i miei piedi; volavo, ma non sentivo l’aria sferzarmi il volto; nuotavo, ma non sentivo né l’odore né il sapore del mare. Che potevo fare? Ero frustrato. Ma col tempo mi resi conto che non dovevo aspettarmi ciò che l’immateriale non poteva darmi. Mi resi conto che ero io a dover dare, e non ricevere, ero io che davo al mio Avatar quelle sensazioni quelle esperienze che il suo/mio corpo non poteva sentire.  

Empatia e immedesimazione
Ecco il senso sviluppato dal mio me Avatar, ecco se non si può vivere di persona si può partecipare alla vita dell’altro, si può essere qualcun altro. Anche un altro sé stesso incorporeo. A differenza del ritratto di Dorian Gray, succube della sua volontà di sopravvivergli eternamente, io e il mio ritratto/Avatar viviamo di uno scambio benefico. Lui naviga in un oceano immaginario, io sento il profumo salso dell’aria che fila sul grasso della randa.  

Predisposizione alla meraviglia
L’ostinazione di “guardare in faccia la realtà”, di anteporre, come se fosse possibile, uno stato superiore della realtà, riducendo tutto ciò che sfugge dalla cronaca a mitologia (nei casi migliori, a superstizione e bazzecole nei peggiori) non mi è mai piaciuto. Quando mi imbatto nella realtà dei fatti, penso sempre a Rashōmon. La meraviglia è lo sguardo sul mondo che riconosce l’importanza di ogni cosa ad esistere. Senza meraviglia non esisterebbero né filosofia né pensiero scientifico. Sense of wonder, si dice nel mondo anglosassone. È il senso che ci conduce nella comprensione sia della realtà che della virtualità.  

Virtualizzazione della memoria
Nella libreria della nostra mente germina una nuova traccia mnemonica di esperienze virtuali che va ad intrecciarsi con la memoria naturale, creando una intima fusione fra ricordi. Dove ricordarsi su quale piano della realtà si è vissuta quell’esperienza diventa difficile, se non inutile.  

Ora mi verrà posta l’inevitabile domanda: “Ma questo, praticamente, che cosa significa?” Il mio primo pensiero a questa domanda va alle parole di Bjorn Larsson in “La saggezza del mare”: “Non è facile tenersi stretta la felicità quando si è circondati da gente che è tutta concretezza e buon senso”. Ma non solo è lecita, fa parte integrante del senso dei nostri interventi qui.  

È molto semplice: noi. Noi siamo il motore economico della nostra realtà. Ciò che ci manca, ciò che sogniamo è il principale e unico motore di ogni economia. E l’Avatar che ci rappresenta non fa eccezione, ed è lui il soggetto di un mercato che scopre che a desiderare non siamo più soli.  

È stata una “cavalcata” interessante! Con questo articolo si chiude il primo ciclo UxU Ultrauffici x Ultracorpi: sono stati pubblicati da febbraio a giugno ben 10 articoli a cui hanno fatto seguito altrettante dirette YouTube, quasi tutte dai mondi virtuali. Abbiamo sperimentato, va detto. Soprattutto per la parte relativa alle dirette. Gli articoli però sono utilissimi e pensiamo di raccoglierli in un “white paper” targato Digital Guys + Office Observer che distribuiremo gratuitamente a chi vuole registrarsi sul sito. Il white paper UxU conterrà la versione estesa (a 30 caratteristiche) della tabella che abbiamo pubblicato nell’articolo #07 del 27/4/21. Conoscere i mondi virtuali e le loro caratteristiche peculiari può essere molto utile! Il white paper sarà sempre aggiornato con una edizione più recente della tabella, scaricabile da chi si è iscritto gratuitamente al sito.  

Ma veniamo all’eredità che lascia questa esperienza. Sicuramente tante persone si sono avvicinate a noi e alcune sono già state invitate a sperimentare direttamente e altre lo saranno! L’obiettivo dichiarato è quello di mostrare come l’ufficio si possa evolvere, in uno spazio che aggiunge (non sottrae) una dimensione a quanto si fa già In Real e In Web. Come Digital Guys e Office Observer possiamo offrire percorsi formativi (i dettagli sul sito) e consulenza progettuale ad ogni livello.
Resta l’appuntamento alle prossime iniziative su Office Observer: non è certo finita qui!  

Due note, per saperne di più. Quello di cui abbiamo trattato in questi 10 articoli, lo trovate più ampiamente raccontato nel nostro libro → “Ultrasoma, Corpi e Organizzazione del III millennio”.  

Parte di questi testi vengono da un post in quattro puntate “L’Isola analoga nel Metaverso” che ho pubblicato in → Medium. Il link qui è del primo, gli altri li trovate a seguito di ogni post.  

[testo di Stex Auer – Digital Guys]

SAVE THE DATE
 
IN LIFE: ULTRAUFFICIxULTRACORPI #10
con Antonio Cirella, Stefano Lazzari, Danilo Premoli
 
15 giugno 2021 ore 18.00 CET

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