Speciale Metaoffice #11: Il viaggio del Leonidas. Parte 1 di 2

Dal Metaverse al Metaoffice il passo è breve. (Digital Guys)


[testo di Stefano Lazzari]

“Lo scoprire, il muoversi, il viaggiare danno origine a ciò che nel tempo sono stati definiti paesaggi interiori, paesaggi dell’anima, o mappe intime, destinati ad essere custoditi nell’atlante della nostra memoria (…). La mia geografia emozionale è proprio la mappa dei sentimenti, delle pulsioni, dei desideri. La storia vede il mondo dal lato della morte, come un insieme di reperti funerari, la geografia emozionale dal lato della vita”.
Giuliana Bruno, L’Atlante delle emozioni, Bruno Mondadori, 2006

Lo spazio, come il tempo, è questione relativa. O forse dobbiamo parlare di sensibilità, dato che ognuno di noi ne ha una condivisibile sì, ma parzialmente. Data la mia, non posso che sentirmi affine al pensiero di Giuliana Bruno, riconoscendo in esso sia la verità che la fragilità di una geografia emotiva soggetta ai capricci dell’individuo ma che contemporaneamente è l’unica che ci permette di comprendere “l’entanglement quantistico” tra i vari stati della realtà tecnologicamente aumentata che va dal fisico e tangibile all’immateriale e metafisico, dal reale al Metaverso: solo il viaggio virtuale genera la sua geografia, che altrimenti non esiste nel qui e ora della realtà oggettiva e materiale.

Cos’è lo spazio?
Iniziamo dunque insieme questo viaggio non euclideo preparando il necessario. Per prima cosa, lo spazio. È necessario che ci intendiamo per cosa sia spazio e in seguito, dato che la nostra idea è quella di trasferirne il senso nella dimensione del digitale, capire se questo è valido nel reale come nel virtuale.
La Treccani, a proposito del nostro punto di vista, definisce lo spazio come “Intuizione soggettiva elaborata mediante gli organi di senso (spec. la vista) o concepito (per es. nella prossemica) come modalità secondo la quale l’individuo, nel suo comportamento sociale, rappresenta e organizza la realtà in cui vive”.
Perfetto. Lo spazio dei sensi con la geografia dei sentimenti sono concetti in assonanza e contiguità, rivelandosi entrambi strumenti perfettamente utilizzabili nella realtà che le tecnologie della virtualità e dell’immersività ci prospetta, facendo da soglia tra i diversi stati di una realtà che occupa contemporaneamente più spazi sovrapponibili: virtuali, espansi, misti. Potremmo anche dire che è proprio la “soglia tecnologica” a contenerli tutti, a metterci nella possibilità emotiva e spaziale di comprenderli.

Cos’è la soglia?
La soglia tecnologica, dunque non è una frontiera, né una barriera né un ostacolo. Non è definita dall’essere più o meno valicabile. È evidente però che segna un passaggio, un inizio o una fine, un al di qua e un al di là. La soglia è di una irriducibile ambiguità: è contemporaneamente separazione e unione, ha in sé lo stesso significato di schermo, che separa, protegge e al contempo svela, rende visibile.
Rimendo nel nostro argomento, sempre la Treccani, ci viene in aiuto spiegandoci che in psicologia sperimentale, per soglia “si designa la minima quantità di eccitazione necessaria per produrre una percezione”.
La soglia tecnologica allora non solo è lo stato nel quale è possibile avere la percezione dei diversi stati della realtà, ma è anche il detonatore dell’esperienza, lo spazio-tempo di passaggio necessario che ci permette di raggiungere la predisposizione intima ed emotiva, nella giusta quantità, per dare un senso percepibile alla esperienza che stiamo vivendo.

La soglia è nel dispositivo?
Probabilmente è proprio per questo che diamo tanta importanza al concetto di immersione, e con la sua rappresentazione tecnologica, fisica e simbolica al contempo: il visore. Indossandolo, indossiamo la soglia, rendiamo evidente che partecipiamo al rito di passaggio verso un diverso stato di percezione della realtà. Queste forme di ritualità tecnologica esistono in effetti da tempo, anche precedenti al digitale. La tecnologia ha sempre esposto nel rito della “vestizione” e della preparazione l’unione fra il potenziale umano e il potenziale della macchina. Unendole si viene a creare una chimera ibrida, un centauro tecnoumano che ora come non mai, risulta sempre più fuso, un tutt’uno indistinguibilmente “normale”.
Le tecnologie diventano dunque sempre più ubique, intime, emotive, psicologiche. Probabile che da qui a breve il dispositivo perderà il suo significato di soglia, diventerà esperienza comune e diffusa confrontarsi con le tecnologie, piuttosto che manipolarle.
Basti pensare al nostro rapporto dialogante quasi da flusso di coscienza, con l’intelligenza artificiale di ChatGPT, che già rende obsoleto il concetto di “strumento” e di interfaccia.
Inoltre già da tempo l’ambito di quello che possiamo chiamare globalmente “Spatial Computing” così definito nel 2003 da Simon Greenwold come “interazione umana con una macchina in cui la macchina conserva e manipola riferimenti a oggetti e spazi reali” prevede un amplissimo spettro di interazione fra reale e virtuale, delineando una “realtà spaziale” che va della Augmented Reality alla Mixed Reality sino alla Virtual Reality e al Digital Twin, la digitalizzazione funzionale totale della realtà fisica.

La soglia è nella cultura?
Se il valore della soglia tecnologica tende a distrarsi dal dispositivo, questa rimane. La soglia, quella psicologia ed emotiva, è necessaria e indiscussa, parte integrante della nostra percezione della realtà, è necessaria non solo per delimitare lo spazio per la creazione del dentro e del fuori, ma è anche necessaria a delimitare il tempo, il prima e il dopo. Anche se il nostro tempo pare totalmente estraneo ad ogni necessità di ritualità, in effetti non l’ha abbandonata, e la pratica delle tecnologie digitali, non diversamente da altre creano mitologie, riti di passaggio, creano una propria simbologia ermetica, iniziatica.
Questa soglia tecnologica è di fatto sempre più culturale. Non solo è determinata di fatto e praticamente dall’accesso o meno alla tecnologie, e questo riguarda il digital divide, ma è determinato soprattutto dalla comprensione di una nuova e originale lingua digitale universale (mi verrebbe di dire un nuovo Esperanto) di metafore visive spaziali, simboliche e percettive che richiedono per chi vi approccia, un discreto sforzo di comprensione, non diverso e di sicuro superiore perché più articolato, a quello che fu introdotto dalla cultura delle interfacce digitali.
Siamo, letteralmente, sulla soglia di un grande cambiamento, e chi si occupa delle tecnologie della spazializzazione e dalla intelligenza artificiale è data una grande e straordinaria sfida linguistica e culturale.
Se siamo qui a parlarne è perché l’abbiamo accettata. (1. continua)

[ottobre 2023]

 BE INSPIRED → Metaoffice 


S.%20LazzariStefano Lazzari
“È ora che la tecnologia si rifletta nella cultura e non viceversa”. Questo pensiero sintetizza venti anni di lavoro nel digitale, dall’editoria al marketing al social media management, di Stefano Lazzari, che dal 2006 ha un avatar nel Metaverso: Stex Auer, il suo gemello digitale. Nel 2016, con Fabrizio Bellavista, Antonio Cirella e Danilo Premoli, ha fondato Digital Guys, network di professionisti che si occupa di etica, cultura e design digitale, modi virtuali e social media. → Digital Guys


This opera is licensed under a Creative Commons Attribution – NonCommercial – NoDerivs 3.0 Unported License

SEGUI IL BLOG VIA EMAIL: per restare aggiornati sui settori ufficio e contract è possibile ricevere gratuitamente in anteprima nella propria casella di posta le notizie pubblicate sul blog compilando con il proprio indirizzo email il form → a questo link.

 [ TAG: Digital Guys ]

 [ ultimi articoli pubblicati ]

Informazioni su DP

danilopremoli.w.link
Questa voce è stata pubblicata in Guest Blogger, N.B., Tutti gli articoli e contrassegnata con , , , , , , . Contrassegna il permalink.

Vuoi lasciare un commento a questo articolo?