Olivetti in Messico. Ovvero la qualità come sistema

[testo di Alessandro Colombo, Pier Paolo Peruccio]

Il testo è stato redatto in occasione della mostra Olivetti Makes, organizzata da Politecnico di Torino e Instituto Nacional de Bellas Artes, curatela Pier Paolo Peruccio, allestimento Alessandro Colombo e Paola Garbuglio, tenuta al Palacio de Bellas Artes di Città del Messico nella cornice di Mexico City World Design Capital 2018, dal 22 ottobre 2018 al 13 gennaio 2019, ed ora in corso a Puebla al Museo TEC di Monterrey, dal 13 febbraio al 31 maggio 2019. Da qui poi la mostra proseguirà nel suo tour in America Latina. L’esposizione ripercorre un capitolo finora poco indagato della storia della Olivetti, fondata nel 1908 in Italia a Ivrea, città industriale iscritta nel 2018 dall’Unesco nella Lista dei siti Patrimonio mondiale dell’Umanità. Olivetti Makes ha illustrato la dimensione concreta della politica culturale e industriale della Olivetti in Messico, a partire dal dicembre del 1949, quando si costituì il primo nucleo di una società per la vendita dei prodotti Olivetti.

Nella cultura del progetto, di design del prodotto, architettonico, grafico e di comunicazione, il nome Olivetti evoca, quasi come sinonimo, quello di qualità. Ha costituito una sorta di isola felice ove tutto sembrava, e forse in gran parte era, fatto al meglio e con la più alta considerazione delle professionalità coinvolte: un mondo nel quale la migliore apparecchiatura elettromeccanica era prodotta nello stabilimento meglio disegnato, da maestranze che lavoravano in un clima positivo e collaborativo ed era disegnata dai designer più bravi, comunicata in maniera seducente ed elegante, e, soprattutto, costituiva il motore di un sistema che produceva profitto, cultura, sussidiarietà, pace sociale in un insieme forse inimitabile e irriproducibile. Olivetti era, in sintesi, la rappresentazione di quella qualità globale della quale avremmo a lungo parlato negli anni a venire.
La mostra Olivetti Makes ha raccontato questa vicenda con particolare attenzione alla storia dell’azienda in Messico, nazione nella quale si ottennero risultati straordinari: non possiamo non guardare con ammirazione all’immagine coordinata delle Olimpiadi del 1968, per le quali Olivetti aveva vinto la gara per il centro stampa e la fornitura di tutte le apparecchiature elettromeccaniche, le straordinarie immagini di Mario Carrieri dei tesori custoditi nel museo di Città del Messico, gli interni disegnati da Egidio Bonfante e Silvana Bellino, la grafica che, in generale nel gruppo ed in particolare in Messico, era il fiore all’occhiello della comunicazione riassunto per noi nella straordinaria copertina del volume Mexico: Tierra de Contrastes a firma di Massimo Vignelli, nel quale le lettere della parola Mexico, colorate come in un arcobaleno, campeggiano sul fondo nero del fronte del libro.

Essere tornati dopo anni di silenzio, anche legati alle non fortunate vicende che hanno investito il gruppo di Ivrea, è stato non solo un dovere dal punto di vista storico e critico, ma anche una necessità culturale in senso ampio, sia per ribadire la straordinarietà della vicenda e dei risultati raggiunti, sia per dare a tutti, ma in particolare alle giovani generazioni, gli strumenti per conoscere un passato che nel tempo è prossimo, ma nelle caratteristiche è remoto, comparato ai tempi che stiamo vivendo. Preparare, curare, allestire una mostra su Olivetti è stato un poco come tornare “a sciacquare i panni in Arno”, per parafrasare Alessandro Manzoni, non ce ne voglia. È stato tornare a capire le ragioni profonde del progetto, il suo legame con la società, l’economia, la politica, la visione del mondo che è necessario avere per tracciare una strada, per raggiungere degli obiettivi, per pensare e fare in modo che una migliore qualità di vita diffusa sia un bene comune e raggiungibile. Non è questa una visione messianica, né utopica: se leggiamo la storia che abbiamo presentato è, al contrario e con grande realismo, la visione di uomini di industria, di imprenditori e manager che avevano, alla fine, il compito e l’obiettivo di produrre reddito e guadagni in una società occidentale e capitalista che non veniva messa in discussione, ma veniva temperata e interpretata attraverso gli strumenti della cultura e della qualità generalizzata ed eretta a sistema.

È forse questo uno dei risultati migliori dell’epoca moderna che ha contraddistinto il XX secolo, ma che non è riuscita né ha cambiarlo né a condurlo su lidi migliori di quelli caotici, contraddittori, ma soprattutto effimeri e privi di visioni, che viviamo ora. L’auspicio è quello di tornare, quindi, a quell’Eldorado del progetto che prima è stato ricordato, non per evocarlo nostalgicamente, ma per riappropriarci dei suoi risultati, delle sue conquiste, dei suoi metodi quali strumenti per affrontare la nostra quotidianità e per provare a disegnare un futuro nel quale progettare e non essere progettati.

Olivetti Makes ha raccontato gli esiti di un progetto di espansione industriale in America Latina avviato dalla società Olivetti a partire dagli anni Venti del secolo scorso con la costituzione in Argentina di una delle prime filiali di vendita Olivetti all’estero. Nella splendida cornice del Palacio de Bellas Artes, la mostra Olivetti Makes ha illustrato la dimensione concreta della politica culturale e industriale della Olivetti in Messico, a partire dal dicembre del 1949, quando si costituisce il primo nucleo di una società per la vendita dei prodotti Olivetti.
Questa società, da semplice avamposto per la vendita di formidabili macchine per lo scrivere e per il calcolo importate dall’Italia, si ristruttura e si amplia un po’ alla volta per diventare negli anni Sessanta officina per il montaggio e poi stabilimento a ciclo integrale di produzione per la vendita di macchine Made in Mexico. E il prodotto di riferimento della Olivetti in Messico sarà la macchina da scrivere portatile, che riuscirà a penetrare in particolare nel mercato della scuola con ricadute positive non solo in termini commerciali, ma soprattutto di familiarizzazione con un prodotto allora ad alto contenuto tecnologico.

Il titolo della mostra evoca l’azione del “fare” e del “produrre”, ma anche del saper “comunicare” pragmaticamente le qualità estetiche e tecnologiche dei prodotti attraverso grafiche e altri artefatti visivi, esposti tra l’altro nei punti vendita Olivetti, tra cui spicca lo showroom a Città del Messico sul Paseo de la Reforma.
L’azienda progetta in Messico anche luoghi di produzione e lavoro provando a replicare modelli positivi di relazione tra fabbrica e società, sulla scorta dell’esperienza già maturata in Italia. Alcuni progetti e intenzioni rimarranno solo sulla carta (ad esempio il progetto di fabbrica firmato dall’architetto Ricardo Legorreta), anche a causa di un contesto politico ed economico in cui non è possibile applicare tout court il modello olivettiano di impresa, e di un cambiamento tecnologico epocale, il passaggio dalla meccanica all’elettronica, che negli anni Settanta investe l’industria mondiale delle macchine da scrivere e da calcolo con conseguenze tangibili tanto nello sviluppo dei nuovi prodotti quanto nella riorganizzazione dei processi industriali.
Molte sono le storie legate al prodotto industriale che si intrecciano: dalla storia economica a quella sociale, politica, industriale e culturale analizzando un periodo della storia del Messico che va dagli anni Cinquanta agli anni Ottanta del Novecento.

Un capitolo a parte della mostra è dedicato al ruolo della Olivetti nella progettazione e nella fornitura dell’occorrente per la gestione della rete di centri stampa per i XIX Giochi Olimpici del 1968. Qui l’azienda di Ivrea si occupa dell’allestimento dell’intero sistema mediatico dell’evento: la progettazione, fin nei minimi dettagli, degli arredi e gli accessori per i 19 centri stampa, la fornitura di macchine per scrivere con tastiere per oltre 30 alfabeti. Provvede poi anche all’impiego di tecnici, interpreti, operatori e la progettazione di numerosi prodotti grafici e di merchandising a partire dal kit per il giornalista con la borsa a tracolla bianca.

Nella mostra Olivetti Makes si offre, infine, uno sguardo inedito sulla sostenibilità ambientale. Si descrive, infatti, il ruolo di Aurelio Peccei, fondatore nel 1968 del Club of Rome, e amministratore delegato della Olivetti dal 1964 al 1967, nell’avviare un dibattito internazionale sul futuro del pianeta Terra: sono gli anni della fase pionieristica del personal computer, della pubblicazione dei primi saggi sui “future studies” e della pubblicazione del volume “The Limits to Growth” (1972). Sono temi estremamente importanti e oggi di grande attualità, che maturano anche nel contesto culturale olivettiano.

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